Quando si aspetta una tenera amica, si prepara la sala: tende tirate per ammorbidire la luce, e sul tavolino della conversazione, vicino alla finestra, un vaso di azalee, omaggio alla presenza cara … Ma il vaso sembra troppo rozzo con la sua nuda terracotta, così, mentre nella mente si preparano le parole e il cuore attende, le mani cercano un coprivaso – “Sì, quello trasparente, semplice, perché nulla sembri cerimonioso …”
Campanello. Fruscìo di moquette. Girar di chiavi. Emozioni che si rispondono.
In mano all’ospite un mazzetto testimonia la medesima sensibilità, e il suo colore il medesimo sentimento di struggente tenerezza.
Le prime parole s’intrecciano, mentre le mani fanno spazio sul tavolino, prendono un altro vaso e cominciano a srotolare il nastro … manca l’acqua, nel vaso, ma ci si allontanerà più tardi, quando sarà appagata l’urgenza del raccontarsi … fino a che le parole smemorano.
E quando l’amica esce, tutto è ancora così, a narrare l’incontro: il vaso vuoto si accontenta di dialogare con il suo riflesso sul tavolino, l’azalea è rimasta al margine della linea scura e mentre il rosa dei suoi fiori si stempera nel bianco della tenda, il verde delle foglie alza il tono in segno di vivo contrasto; la rosa del mazzetto se la intende con il rosa dell’azalea, mentre spighe e gambi assistono muti allo svolgersi di quel nastro – seta, non c’è dubbio! ma come ha fatto a farcelo capire? – che attraversa il quadro, abbracciando mazzetto e vaso, sopra l’uno e dietro l’altro, a intingere le sue tinte nel vetro, e nel tragitto si distende, s’impenna, curva, si rigira, mostra l’altro lato, si trascina, sfiora e improvvisamente s’inorgoglisce in un balzo, per riprendere subito il suo percorso unificante, come il flusso dei suoni che ha unito le due anime, vivo delle loro emozioni, e infine riposa e ripensa conservando ogni bagliore di parola.
Più che un messaggio, un’esperienza.
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