Mozart K 40

olio su tavola h cm 50 x 60 Firma “Chierego” sottolineata in basso a sinistra.

Codice: A048

Data:

Collocazione: 0

Mozart era tra gli autori prediletti dall’Artista, perché riusciva sempre ad infilare di straforo trovate geniali anche in composizioni nate senza pretese: il suo concerto n° 3 per pianoforte e orchestra in Re Maggiore (K 40) ben illustra questo dissidio tra eleganza e sentimento, con le stesse parole scritte da Mozart al padre: “… una via di mezzo tra il troppo difficile e il troppo facile, molto brillante e piacevole all’udito, naturalmente senza cadere nella vuotaggine. Qua e là anche i conoscitori possono trarne soddisfazione, ma in modo che pure i non conoscitori devono essere soddisfatti, senza sapere perché”.
Ed è una composizione “in maggiore”, trionfale, brillante come questo giallo.

A prima vista, si ravvisa una struttura semplice: un triangolo scuro di sfondo appoggia con la base maggiore su un tavolo, dal quale parte la punta del triangolo vaso-fiori opposto, come per formare una stella. Ma a sinistra una “punta” gialla di fiore s’abbandona al suo peso ed esce dal triangolo, spezzando l’ovvietà.

Sotto al vaso un telo giallo, come il colore preponderante dei fiori, non richiama né la linea orizzontale del tavolo, né quella obliqua del telo di sfondo, né l’inclinazione dei gambi. Le pieghe iniziano dal vaso, come a formare un nuovo mazzo che ripeta, ribaltato, il medesimo movimento dei fiori, ma a destra due pieghe, più vistose e morbide, prendono una direzione imprevista, che non richiama nulla.

A sinistra i fiori si stagliano contro lo scuro del drappo, mentre a destra alcuni, dai colori rosso violaceo, escono dallo sfondo scuro per confrontarsi con tinte più consone.
Nei progetti dell’Artista nulla era mai perfettamente geometrico, o scontato.

Lo sfondo sembra non rifinito, appena abbozzato, come non dovesse neppure comparire, mentre l’attenzione dedicata al bicchiere e al telo giallo dà loro la luce e il movimento di un primo piano. I fiori sono tutti riconoscibili, ma quasi appena accennati, come le foglie.
 
Dilemma di sempre, per l’Artista: il punto in cui fermarsi nel ritrarre i particolari.
Talvolta aveva ripensamenti: “Troppo visto”, si autocriticava, o “Poco sognato” – e questa le sembrava la critica peggiore, capace di farle perdere quella pazienza d’amore con cui sempre ritoccava, migliorava, accordava i toni, modificava sfumature o limava ombre. Di fronte al banale o all’effetto “fotografia” perdeva ispirazione e passione, fino a raschiare la tavola, rinunciando.
Sconfitta dall’eccesso di realtà.



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